Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
306 | La Conquista di Roma |
dopo debbo andare al Ministero per concordare un movimento di prefetti.»
«Verrai alle sette?»
«Alle otto o alle nove, non so.»
«Debbo venirti a prendere alla Camera?»
«No. Va’ pure a passeggiare, a villa Borghese, fuori Porta Pia, dove vuoi: è inutile venire al Parlamento. Io pranzerò, quando avrò finito. Questo affare dei prefetti è molto serio, Sangiorgio: vi dirò, strada facendo. Qualunque lettera o plico o dispaccio arrivi, mi vengano a cercare dove sono, alla Camera, al Senato, al Ministero: subito. Aspetto notizie importanti: ora vengo, Sangiorgio.»
E gli ordini partivano brevi, concisi, alla moglie, al segretario che era comparso sulla soglia, erano dati con un tono militare di comando: don Silvio stava ritto e robustamente piantato, come un giovanotto; la sua febbre era la sua salute, il suo morbo era la sua salvazione.
Andò di là, nello studio, portandosi il segretario, parlandogli a voce bassa, ma seccamente. Rimasero soli, Francesco e donn’Angelica: egli ritto, ella col capo chino come nel Pantheon, nel minuto della preghiera, giocando con le dita