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26 La Conquista di Roma

che nessun albero allietava, che nessuna ombra d’uomo animava, che non attraversava alcun volo d’uccelli; era una desolazione immensa, solenne.

Contemplando questo paesaggio, che a nulla rassomiglia, Francesco Sangiorgio era preso da un senso crescente di sorpresa, in cui tutti i suoi sogni personali si dileguavano. Stava a guardare, muto, immobile, rannicchiato nell’angolo della carrozza, tremando di freddo, sentendo calmarsi il battito delle tempie. Indi a poco una pesantezza gli scendeva sulle palpebre, un rilassamento gli distendeva tutta la persona, egli provava tutta la stanchezza della notte trascorsa vegliando. Avrebbe voluto sdraiarsi nella carrozza, con un bel raggio di sole, che entrasse dal finestrino aperto, per dormire, una buona ora, sino a Roma; invidiava quelli che avevano passato quelle lunghe ore notturne a ristorarsi le forze, nel riposo.

Ora il viaggio gli sembrava interminabilmente lungo, e lo spettacolo della campagna romana, quello squallore maestoso, l’opprimeva. Non finiva dunque mai? Non sarebbe dunque mai a Roma? Aveva sonno: un intorpidimento gli si dilatava dalla nuca a tutte le membra, la sua