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290 La Conquista di Roma

incurabile male dello spirito, tutto per lui si concentrò in quella figura di donna, seduta presso a lui: ella personificò tutta quella tepida e umida giornata invernale, in cui il sole era morto; ella fu la sede morale di tutte quelle lagrime che sgorgavano dalle cose; ella fu l’abisso attraente del dolore, che tutto il dolore delle cose non arrivava a riempire; e sull’urto profondo dei nervi di lui, sulla vibrazione di tutto il suo essere, carne, sangue, nervi, muscoli, in tutta quella forte compagine di uomo forte, che sussultava, salì, crebbe, vinse un sentimento di pietà amorosa.

Ella, inconscia, si abbandonava, fidente dell’ombra: si abbandonava alle sue fantasie di donna, vaganti fra i cerei, fra gli abiti neri lucenti d’oro dei preti, fra le grandi, quasi colossali cariatidi umane dei corazzieri, fra tante facce pallide, tristi, annoiate, sofferenti, o indifferenti. Malgrado quella immensa folla di gente che circondava il catafalco, malgrado l’indefinibile mormorio che se ne distaccava, ella si lasciava andare in quell’ora di libertà spirituale, l’ora breve, l’ora indisturbata, l’ora di liberazione, in cui il proprio dolore rinasce e si fonde e si trasforma nel dolore universale. Ogni tanto, a uno strappo