dini. La politica interna era fondata sull’equivoco e sulla noncuranza colpevole: le teorie elastiche di libertà vi portavano la rovina. E questo tono acuto, quasi tragico, di attacco, doveva essere indovinato, era quello della giornata, perchè ad ogni frase la Camera mormorava per approvazione. Sangiorgio citò fatti: non era soltanto quello che dava da pensare, nè il primo; disse il numero delle associazioni repubblicane che in un anno era cresciuto a dismisura; citò i comizi che si moltiplicavano dappertutto; e gli atti di ribellione, non di quel solo municipio, non di quella sola Giunta, ma di altri pubblici funzionari; parlò di un prefetto che aveva consentito ad assistere ad un banchetto, dove era stato proibito di brindare al re, — e il ministro dell’interno, malgrado lo sapesse, malgrado gli articoli dei giornali monarchici, non aveva punito quel prefetto. I prefetti, i questori, i delegati, lasciati in balìa delle loro opinioni, della propria volontà, si abbandonavano ad atti di autoritarismo o di debolezza inqualificabile: ma la nota principale era la indolenza, una trascuraggine colpevole. Da Roma non partiva una circolare energica, mai: i rapporti dei più zelanti funzionari restavano senza risposta, o avevano una ri-