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280 | La Conquista di Roma |
repressione sarebbe partito dalla volontà dell’illustre uomo.
L’illustre uomo aveva inteso tutto, torcigliandosi un po’ nervosamente il mustaccio bigio: guardava Niccolò Ferro, il suo amico, con molta dolcezza, senza un rimprovero. Si sentiva affogare: sentiva lo sgomento della Camera innanzi all’audacia novella del partito radicale; sentiva l’equivoco in cui tutti lo volevano trascinare, amici e nemici, e contro il quale non poteva difendersi. Nè poteva dichiararsi solidale con Niccolò Ferro, nè combatterlo: e solidale, pel suo silenzio, lui, il ministro della Corona, tutti lo avrebbero creduto. Sentiva, in quel momento, il lungo errore di una politica troppo leale, solamente fondata sulla verità, solamente inspirata agli alti principii, astratta dalle persone e dai fatti, quindi poetica e fallace: una politica così poco pratica, che, ecco, prestava il fianco indifeso alla destra e alla sinistra. Tutto questo capiva l’illustre uomo; ma non poteva dire nulla. Forse, in quel frangente, il vecchio presidente del consiglio, parlando lui, con quella sua temperante bonomia poteva salvar la posizione: egli poteva metter a suo posto le paure mistiche e