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278 La Conquista di Roma

rischiaravano, chiusi, molto malcontenti: i deputati non erano soddisfatti, no, erano venuti nell’aula esaltati da otto giorni di discussione e di aspettazione, la questione era molto grave, il ministro voleva cambiar loro le carte in mano, riducendola a un piccolissimo affare.

Invano egli prodigava certe sue finezze di talento ingegnoso, certe sue risorse stringenti e lucide di logica: egli continuava a sbagliare la nota, non avendo intesa l’intonazione di quel giorno, non comprendendo che il vento era alla grande rettorica delle giornate di crisi. Sentiva lo scontento, ma non ne capiva il perchè: gli pareva sempre di poter vincere questa battaglia con le semplici armi della ragione, — ma un silenzio glaciale regnò nell’aula, alla fine della sua risposta. Poi Niccolò Ferro, il deputato radicale, chiese la parola. Il ministro aggrottò lievemente le sopracciglia: in quel minuto si accorgeva del pericolo.

Niccolò Ferro, l’oratore migliore della estrema sinistra, il parlatore lucido, freddo, imperturbabile, forte nella logica, come forte nella rettorica, chiarì così limpidamente la situazione, che non vi fu più dubbio. La dimostrazione di quel mu-