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La Conquista di Roma 277

gava ai parapetti: le due contesse, la bruna e la bionda, pareva che sorbissero le parole di don Mario Tasca.

Costui parlò per un’ora, appena appena pigliando fiato, senza bever mai, senza che mai il timbro della sua voce si alterasse di colorito. Egli incalzò il ministro, negli ultimi periodi, più brevi, sempre rotondi, a ruote sempre più concentriche, a rispondere se voleva continuare in questo dannoso sistema di noncuranza, di lasciar fare, di lasciar passare. Un lunghissimo, lunghissimo mormorìo di approvazioni salutò don Mario Tasca.

Il ministro, prima di rispondere, interrogò con l’occhio il suo presidente: ma costui scriveva; era inutile. Allora egli si alzò e rispose con molta pacatezza, con molta giustezza, riducendo la questione ai suoi termini minimi, dichiarandola di poca importanza, attenuando e sfrondando tutti i fatti, ricorrendo a una quantità di ragioni piene di buon senso, rinunziando al gonfiamento delle grandi frasi, che egli credeva inopportune. E discorrendo placidamente, si guardava attorno, interrogava i volti dei deputati, quasi volendone ricavare in loro approvazione. Ma i volti non si