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La Conquista di Roma 275

gli occhi alla tribuna diplomatica, la contessa di Santaninfa, la bella pensierosa, vestita di nero, chinava gli occhi malinconici sull’aula; la contessa di Malgrà, la pallida bionda seducente, aveva quel giorno un cappellino di paglia di oro e non lasciava mai di considerare l’aula attentamente. La tribuna degli impiegati era piena: in quella dei giornalisti una triplice fila di teste si piegava curiosamente.

— Fiutano l’odore della polvere, — pensò lui.

E guardò i suoi due o tre colleghi ministri, come se volesse dir loro qualche cosa: ma costoro avevano l’aria così indifferente, che egli non disse più nulla. Solo guardò la Camera: essa si era chetata, ma aveva un’aria dura e solida, una massa profonda di quattrocento persone che tacciono, aspettando. E dopo una quindicina di minuti, alle tre, l’oratore della destra, don Mario Tasca, cominciò a parlare dal più alto banco del penultimo settore, in mezzo a un silenzio di grande chiesa vuota: pianamente, il presidente del consiglio era entrato nell’aula e si era seduto alla punta del banco dei ministri. Don Mario Tasca, il vecchio bianco, dal collare di barba candido, dalla pelle rosea, parlava con