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La Conquista di Roma | 269 |
ideale amore della libertà, non aveva voluto sciogliere il municipio di quel paese.
Uomo profondo, d’idee larghe, di un grande carattere, abituato a considerare le questioni politiche con un’ampiezza che la meschinità degli altri uomini politici non perdonava, elevandosi sempre a un ordine di concetti molto superiore, egli aveva detto che bisognava rispettare la libertà della coscienza politica: in privato, ridendo un poco della gravità inusata che si dava a questo caso, aveva detto, come i monatti di Milano a Renzo Tramaglino: andate là, andate là, non saranno questi piccoli assessori camuffati da Erostrati, che abbruceranno il tempio delle istituzioni. Rispondeva a tutti che l’affare era di poca importanza, e alle facce serie, preoccupate, di coloro che lo venivano a interpellare, opponeva la sua serenità di uomo superiore, che pareva una posa ed era l’intima sicurezza di una coscienza quieta.
Ma intorno a lui, sottomano, trapelante, ferveva il desiderio della crisi: tutti i malcontenti, tutti gli ambiziosi a cuore aperto, tutti i mediocri, tutti gli sciocchi invidiosi, tutti i cretini presuntuosi si agitavano, si radunavano, si davano