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268 La Conquista di Roma

nica di festa patriottica, la giunta municipale e il consiglio comunale, in parte, avevano dato la prova più manifesta di un repubblicanismo avanzato: i consiglieri monarchici si eran subito dimessi, telegrammi erano giunti ai deputati, ai giornali, agli uomini influenti, il caso era diventato grave, in un momento.

Era già l’estate e le sedute si trascinavano lente e fiacche: la politica estera si era già addormentata del suo sonno estivo: leggi importanti non ve ne erano; lo scoppio, dunque, fu improvviso, inaspettato, bene accolto, tutti vi s’interessavano. Gli amori fra la Camera e il Ministero si erano illanguiditi, come tutte le passioni corrisposte e soddisfatte; la gran sazietà empiva di nausea costoro che si erano troppo amati; e il principio della lite che sempre più si complicava, fu il colpo di frusta che risvegliò gli amanti disgustati e sonnolenti. Non avevano più voglia, nè più forza di amarsi con furore: la ritrovarono per litigare, per insultarsi, par darsi a una guerra di sospetti, di maldicenze politiche, di calunnie private. Il maggior accusato era il ministro dell’interno, che, obbedendo a un suo