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La Conquista di Roma 257

col braccio teso e la punta agli occhi del nemico, non parò; e come vide la lama, che aveva finto una botta al ventre, passar luccicando davanti a’ suoi occhi per ferire alla faccia, la respinse con una battuta strisciante così franca e così pronta che la sciabola escì di mano ad Oldofredi, e restò sospesa per la fasciatura.

«Alt!» gridò Castelforte.

Lapucci e Bomba corsero a rilegar l’arma al polso d’Oldofredi.

«Animo. Un’altra botta!» disse piano Castelforte all’orecchio del suo primo. Sangiorgio s’era rasserenato. Un riso interiore di superbia contenta gli spianava la faccia. I suoi denti si schiusero. Oldofredi era di nuovo a posto, con la sciabola in pugno, ma questa volta bianco d’un pallore iroso: aveva lui, ora, i denti sbarrati, e le sopracciglia tese come se dovessero scoccar saette.

E al comando si buttò addosso al nemico, d’uno sbalzo, senza finte, senza artifizi di scherma, per spaccargli la testa. Ma prima che la sua sciabola arrivasse allo scopo, la punta di quella di Sangiorgio gli entrò nel labbro inferiore e squarciò tutta la guancia, sino alla tempia. I quat-