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256 La Conquista di Roma

così retta e così dura, che pareva un pezzo di ferro.

«A voi!» comandò Castelforte.

E si slanciarono. La sciabola d’Oldofredi battè quella di Sangiorgio che s’era buttata di punta, e la scartò, poi cadde sul guantone imbottito; ma Sangiorgio rialzando con impeto brutale il braccio e il ferro, sollevò la lama del nemico, e per poco non gli ruppe il muso con l’impugnatura.

«Alt!» gridò Castelforte, interponendo la sua sciabola. I due combattenti si staccarono e tornarono al loro posto. Oldofredi, un po’ pallido, sorrideva: aveva capito l’avversario; ma Sangiorgio, a cui era entrata nel petto una furia di toro che abbia visto del rosso, teneva la bocca chiusa e respirava con violenza dal naso.

«In guardia!» disse di nuovo Castelforte. Sangiorgio, col braccio teso e la punta della sciabola alla faccia dell’avversario, lo guardava fisso con occhio così torbido e così minaccioso, che Oldofredi se ne avvide.

«A voi!» disse Castelforte.

Questa volta si slanciò Oldofredi, minacciando al ventre dell’avversario. Sangiorgio, immobile,