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252 La Conquista di Roma


«Eccoli,» disse Sangiorgio, i cui nervi erano stranamente aguzzati dall’eccitazione.

Infatti, il rumore d’una carrozza si udì, e ingrossò subito: la carrozza, di gran galoppo, voltò nella pianura, e andò a fermarsi in distanza, nel mezzo del prato. Si spalancò lo sportello. Oldofredi, Lapucci, Bomba saltarono giù.

Questi ultimi si avvanzarono verso Castelforte e Scalìa che venivano incontro; il dottore di Sangiorgio e quello di Oldofredi si fermarono in disparte, e s’inginocchiarono svolgendo i fagottini, sull’erba, per aver tutto pronto. Oldofredi restò presso alla carrozza, col paletot indosso, fumando, battendo gaiamente con una sua bacchettina di bambù la groppa d’uno dei cavalli. Sangiorgio, con mezzo il corpo fuori dallo sportello, guardava incertamente. Ciò che lo smaniava, era l’imperizia, la novità del fatto, e l’ignoranza delle formalità. Doveva restare in carrozza, o scendere come aveva fatto il suo avversario? Guardò i padrini. S’erano raccolti tutti e quattro, con amichevoli saluti e forti strette di mano, sul terreno arso, e discutevano. Ogni tanto, in quella strana e molle calma del tempo piovoso, veniva distintamente l’accento lombardo