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242 | La Conquista di Roma |
di prove umane, donde l’anima esce amareggiata, delusa, nauseata. Nella solitudine del suo piccolo quartiere, nella lucidità notturna del suo cervello che niuna cosa, niuna persona, niun avvenimento era sinora venuto a turbare, tutte le vigliaccherie, le transazioni, le freddezze, le indifferenze, le premure misurate della gente che aveva incontrata, si affollavano, si aggruppavano, si precisavano: prima la difficoltà di trovar padrini contro Oldofredi che aveva fama di sciabolatore, poi l’entusiasmo molto limitato di Scalìa e di Castelforte, e tutti i consigli, tutti i suggerimenti, tutti gli avvertimenti poco caritatevoli, tutti i discorsi lugubri, tutte le domande a base di compassione, tutti i complimenti a fior di labbro, poco convinti, questo ammasso di parole, di frasi, d’intonazioni dispiacevoli, lo disgustavano, sfilandogli di nuovo innanzi, per dimostrargli ancora un’altra volta la miseria e l’ipocrisia serena dell’uomo.
Egli sentiva che tutti quanti, conoscenze o estranei, amici o nemici, ammiratori o biasimatori, lontani o vicini, lo giudicavano malamente pel suo duello con Oldofredi; sentiva degli uni la pietà offensiva, degli altri il dispetto ironico, de-