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La Conquista di Roma 197

stringendogli un po’ il braccio per trascinarlo via.

Erano le due e mezzo. La gente si accalcava al guardaroba per andar via, infilando i soprabiti con aria svogliata, avvolgendo la testa negli scialli, a guisa dei funamboli che, dopo aver eseguito dei giuochi in piazza, mettono una giacchetta vecchia e stinta sugli stracci di raso, dalle pagliette d’oro.

«Vieni, vieni,» disse, presa d’impazienza, la donna, mentre Sangiorgio s’infilava il paletot.

Fuori, ella distinse subito la propria carrozza e vi si cacciò premurosamente, attirandosi dietro Sangiorgio.

«A casa,» ella aveva detto al cocchiere.

Ma quando fu dentro, dietro gli sportelli chiusi, ella si tolse rapidamente il velo dal capo e lo buttò sul sedile di rimpetto: si disciolse, con un po’ di nervosità, strappando le spille, stracciando la frangia, da quel mantello orientale: una pelliccia col cappuccio era nel fondo della carrozza, ella la indossò. Sangiorgio l’aiutava, in silenzio. Ella guardò un momento nella strada.

«Ah! vi è la luna!» mormorò con una grande dolcezza.