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La Conquista di Roma | 181 |
«Non la stessa persona, sempre, per fortuna».
«Oh no, sarebbe troppo grave... Nessuna notizia politica?»
«Nessuna, caro collega. Buon divertimento!»
«Grazie,» fece Gullì-Pausania, sorridendo con la sua fine aria voluttuosa.
Sangiorgio entrò. Le palpebre gli battevano sugli occhi abbarbagliati. Il teatro, nelle sue tre file di palchi, sulle gallerie, sul palcoscenico, era strabbocchevolmente illuminato, e il fondo bianco della sua decorazione ne raddoppiava il fulgore: sul palcoscenico, lo zampillo della fontana, altissimo, era colorato di rosso da un raggio di luce elettrica. La sala era piena: arrivava ancora gente dagli altri veglioni, dai caffè, dai ricevimenti, dai balli. Non era più permesso nè di fermarsi, nè di camminare presto: Sangiorgio principiò col non veder altro che le spalle di un alto signore robusto che camminava innanzi a lui, a diritta l’orecchio rosso di una ciociaretta, a cui certo era troppo stretto il lacciuolo della mascherina, a sinistra il profilo sperso di una giovanetta alta e magra, con gli occhi malinconici. L’alto signore guardava a destra e a manca nei palchi, movendo una testa dalla zazzera bionda, ripar-