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176 La Conquista di Roma

chiudevano mai. Nel corridoio terreno, i guardarobieri perdevano un po’ la testa, numerando soprabiti e pellicce, unendo sciarpe, veli, bastoni e scialli in pacchetti. La vastissima platea ingoiava gente, sempre, e non pareva mai piena, malgrado quel brulichìo di persone, di colori vivi a fondo nero. La gente si dava a quell’eterno passeggio circolare che è la nota caratteristica del veglione romano. Ventiquattro pulcinella, una chiassosa compagnia di giovanotti, tenendosi per la camicia bianca, l’un dopo l’altro, correvano attraverso la sala, ridendo e gridando, come una valanga di neve che precipiti, roteando. In mezzo alla sala, in un largo circolo, erano riunite una quantità di mascherette femminili, per lo più con una vesticciuola bianca e corta, una vera blusa infantile, stretta un po’ alle ginocchia da un largo nastro azzurro o rosso, con la cufnetta bambinesca sul capo e un giocattolo tintinnante in mano: l’economico, carino e provocante costume di donna Juanita, nell’atto della Giamaica. Venute in buona compagnia, queste mascherette non lasciavano mai il loro cavaliere; appena l’orchestra, dalla tribuna elevata sul palcoscenico, dietro la grande fontana