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La Conquista di Roma | 169 |
tavolini, senza mobili di legno, tutto pieno di poltrone, poltroncine, divanetti, sgabelli, una stanzetta senz’angoli: anche il pianoforte era dissimulato sotto una quantità di stoffe turche e persiane: sul muro, un pezzo di piviale roseo, ricamato in oro, brillava.
«Vedrete, vedrete, Sangiorgio: domani molti deputati vi si faranno presentare. Voi godrete tutte le dolcezze del successo».
«Bisogna crederci all’ammirazione dei colleghi?»
«No, caro amico, ma goderne. Una quantità di cose umane, belle e buone, sono false nella loro essenza. La saggezza è di approfittarne, di prenderle come sono, senza chiedere di più».
E gli diede un’occhiata, alla sfuggita, rapidissima. Egli capì subito: lo assisteva in quella piccola stanza la stessa lucidità che, nella giornata, innanzi alla Camera, lo aveva soccorso nella sua audacia.
«Anche l’amore è così,» mormorò lui.
«Specialmente l’amore,» rispose donna Elena, spalancando i suoi occhioni bigi che avevano delle tinte turchine, quella sera. «Vi siete mai innamorato, Sangiorgio?»
Serao — La Conquista di Roma | 11 |