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168 La Conquista di Roma

giorgio», riprese ella, accendendo una sigaretta gialla.

Sangiorgio alzò gli occhi su lei, senza rispondere.

«Se ci tenete, comperate i giornali domani: saranno pieni di voi».

«Non mi pare: il ministro è molto amato».

«Bah!... egli è come Aristide: i suoi concittadini si sono annoiati di udirlo chiamare giusto. Non v’illudete per questa citazione, Sangiorgio: io non so nè il greco, nè il latino. Sono ricordi di giovinezza, quando leggevo».

«Ora non leggete?»

«No, i libri mi annoiano».

«Sono inutili».

Il cameriere entrò con un piccolo vassoio di bambù e col caffè: anche le tazze erano giapponesi, di una porcellana delicatissima, azzurrina.

«Quanti pezzi?» domandò ella, tenendo sospesa la morsetta d’argento.

«Due».

Mentre prendevano il caffè, Sangiorgio guardava il salotto. Vi era stato un momento, prima del pranzo, mentre la contessa era di là a cambiarsi di vestito. Era un salotto piccolo, senza