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La Conquista di Roma 13


Con le mani calde, rabbrividiva di freddo.

Si levò e andò verso lo sportello, Ora il treno sfilava in aperta campagna, ma il suo rumore era più sordo: pareva che le ruote fossero state unte di olio, e scivolassero chetamente sulle rotaie, per accompagnare, senza turbarlo, il sonno dei viaggiatori. Dirimpetto, sopra un’alta proda nera, si stampavano, fuggendo, gli sportelli luminosi: non un’ombra dietro i cristalli. La grande casa dormiente correva nella notte, come mossa da una volontà ferrea, ardente, che trasportasse seco tutte quelle volontà inerti nel sonno.

— Dormiamo, — pensò l’onorevole Sangiorgio.

Sdraiatosi di nuovo, cercò di assopirsi. Ma il nome di Sparanise, detto sottovoce, due o tre volte, alla fermata, gli rammentò il piccolo e povero paese di Basilicata, onde veniva, che insieme con venti altri poverissimi villaggi, gli aveva dato tutti i suoi voti per crearlo deputato. Il piccolo paese, distante tre ore da una stazione ignota della linea ferroviaria Eboli Reggio, dove il capo stazione aveva le febbri, parea molto lontano all’onorevole Sangiorgio; lontano e abbandonato in una valle paludosa, tra le nebbie malsane che salgono, nell’autunno, dai torrenti, il