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La Conquista di Roma 141

reva di assistere a una seduta di consiglio amministrativo: l’intonazione parlamentare mancava affatto. Il ministro, ogni tanto, s’interrompeva, per soffiarsi il naso, con un grande fazzoletto di seta, a scacchi rossi e neri. In realtà, in quella breve personcina grassoccia, onestamente vestita di nero, in quel volto placido, raso sulle labbra e sul mento, ma incorniciato inglesemente da due fedine brizzolate, in quelle mani bianche e grassocce, in tutto quel senso di calma e di meditazione che da lui traspirava, s’indovinava il grande lavoratore di gabinetto, l’uomo che passa dodici ore al giorno al ministero, innanzi a una scrivania ingombra di carte, scrivendo, leggendo, compulsando registri, discutendo coi capi di servizio, coi direttori generali. Così il ministro, l’uomo raccolto, concentrato in un lavoro immane ma segreto, pareva spostato a dover discorrere innanzi ai deputati; e dicendo delle cose importanti, facendo una relazione minuta e profonda, egli conservava una bonarietà di scienziato che spiega popolarmente l’altitudine della sua scienza.

La Camera taceva per rispetto, ma in verità era distratta. Erano così sicuri di lui, i suoi