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132 La Conquista di Roma

cantano soltanto: stanno nelle case, penetrano nelle famiglie, insegnano nelle scuole, essi stessi amano, odiano, godono, vivono, per sè e per il loro interesse, per la Chiesa e pel papa! Chi può misurare la loro forza, la loro espansione, la loro potenza?»

«Roma non crede,» interruppe Sangiorgio.

«Non parlo di fede, io. Glorifico la religione, forse? La grande fola è finita, ma l’interesse umano vive e si moltipica. Noi passiamo accanto a questo grande fermento e non ce ne accorgiamo. Viviamo presso un enorme mistero agitantesi nell’ombra, senza sospettarne l’esistenza.

Giustini taceva, fissando ancora gli occhi sull’immenso paesaggio della città che pareva annegata nel sottilissimo aere nebbioso sciroccale. Sangiorgio ascoltava, turbato, con un palpito di ansietà nel cuore, come all’appressarsi di un pericolo.

«Quello è il Quirinale: la regina, il re, la corte. Proprio lì, in quella luce rosea. Quattro balli, otto ricevimenti ufficiali, quaranta pranzi di parata, venti serate teatrali, quattro concerti, trenta inaugurazioni, quattrocento presentazioni, brillanti al collo, decorazioni sul patto, piume sui