Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
120 | La Conquista di Roma |
era inutile — e le corone secche e fradice dalla pioggia erano inutili: — bastava il nome.
La dimostrazione si era aggruppata sotto la lapide commemorativa, lasciando un po’ di spazio libero per le carrozze che sfilavano sempre verso villa Pamphily; i carabinieri si erano avvicinati. I vecchi reduci erano tutti riuniti intorno alla bandiera e stavano muti, ricordando: i due deputati si tenevano a una certa distanza; Giustini faceva una smorfia bruttissima di stanchezza; Sangiorgio, punto dalla curiosità, osservava. Un operaio salì sopra una scala di legno appoggiata al muro, tolse le vecchie corone e le buttò via, spazzò col gomito la lapide e vi sospese la corona fresca: giù, si applaudì. Dall’alto della muraglia, un contadino, il guardiano del podere, una di quelle facce pallide e malinconiche di contadini romani, guardava indifferente. Poi, sul sedile di una carrozza da nolo, a un cavallo, che stava addossata alla muraglia, un uomo sorse per parlare; gli studenti lo applaudirono.
Era un giovinotto biondissimo, grassotto, con certi occhietti languidi azzurrini, con un mustacchietto appuntato, con le mani pienotte e bianche come quelle di una donna, con le unghie lun-