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La Conquista di Roma 109

invernale temperava e appesantiva l’aria; e in quel venerdì, in quel giorno di Natale, in quell’ora pomeridiana, pareva a un tratto sospesa la vita di Roma. Tutto quel quartiere centrale della città, quel tratto di Corso sempre così fervido di movimento, con le sue quattro piazze, Sciarra, Montecitorio, Colonna, S. Carlo, con i suoi caffè sempre chiassosi, con le sue botteghe eleganti, coi suoi marciapiedi affollati, sembrava, in quel lieto giorno di festa, in quella temperatura mite, come colto da improvvisa profonda atonia. Al contatto di quel breve mondo attivo, quasi febbrile, ogni giorno Francesco Sangiorgio provava lo stesso fenomeno di eccitamento, per quanto rimanesse estraneo a quell’attività. Ora, quella vuotaggine, quel sonno, quel silenzio del giorno di Natale, che altrove, in provincia, nei più piccoli villaggi si suol celebrare con grida di gioia e sparo di mortaretti, lo avevano colpito di meraviglia, come molte e molte cose di questa Roma, sempre così nuova, così impensata. Passeggiava da un’ora, su e giù, dopo colazione, dopo aver letto i tre o quattro giornali che erano usciti la mattina, e che contenevano delle tirate sentimentali natalizie; non incontrava alcuno, non già una