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per monaca 95


vannella, da certi sussulti, dalla curva del collo s’intendeva che ella singhiozzava, mentre Felicetta Filomarino accanto a lei, stava immobile, non osando confidare il suo segreto, neppure alle stelle del cielo o alle onde del mare. Tecla e Chiarina si fermarono presso Angiolina Cantelmo; ella stava ritta presso l’albero inchinato di prora a cui si attacca la bandiera, tutta avvolta nelle pieghe bianche di uno sciallo di crespo e appoggiata la mano all’albero, ficcava gli occhioni azzurri per l’oscurità, come se volesse viaggiare, con la corazzata, per mari orientali, ricercando il piccolo yacht, dove egli fuggiva. E malgrado il vestito bianco, sembrava più magra, più alta, più trasparente che mai, come se una fiaccola fosse stata accesa, in un vaso di porcellana.

— Non balli, Angiola? — le domandò Chiarina.

— No, balla Maria, lassù a poppa, — disse lei tendendo la mano sottile e lunga.

— Hai visto Carlo Mottola e donna Maria di Miradois? — domandò Tecla, che andava sempre diritto al suo scopo, senza esitare e senza vergognarsi.

— Erano qui, poc’anzi: sono andati via.

— Buona sera, Angiola.

— Buona sera, Tecla. —

E la snella creatura si voltò di nuovo a guardare il mare, sognando, chiedendosi forse quale seduzione d’isola orientale trattenesse il suo fuggitivo. Chiarina e Tecla ridiscesero la scaletta, un gran movimento era a bordo, l’ammiraglio aveva permesso che si visitassero la stanza da pranzo e le camerette degli ufficiali, la stiva e il camerotto della macchina per chi sapeva re-