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per monaca 71


— Buongiorno, Eva, papà ti saluta.

— Buongiorno, cara, e grazie.

— Buongiorno, Eva, mammà ti saluta.

— Buongiorno, carina, e grazie. —

Si cavarono i paltoncini eguali, posarono i cappellini eguali, restarono coi vestitini di seta nera, eguali. Poi, un momento interdette, ripresero la lezione.

— Sta bene mammà tua, Eva?

— Sì, cara, è stata all’Unione ierisera; ora dorme.

— E papà tuo sta bene, Eva?

— Sì, cara, è a Gifoni, a caccia.

— Sta bene, tuo fratello Riccardo, Eva? —

Eva portò subito alle due bambolette che si guardavano, soddisfatte della propria recitazione, una quantità di fasce da bimbi da orlare. La specialità delle sorelline Sannicandro, in quel grande lavorìo per l’ospizio dei fanciulletti abbandonati, erano orli: esse orlavano ogni giorno, orlavano sempre, orlavano senza fine, chilometri intieri di orli, uscivano da quelle manine pazienti di statuette meccaniche. Erano sempre contente di orlare, levando ogni tanto il capo, per domandare:

— Hai il rocchetto bianco, Eva?

— Hai le piccole forbici, Eva? —

Maria Gullì-Pausania entrava lentamente, col suo passo di deità olimpica: a Eva che le corse incontro degnò sorridere, offrì la guancia bruna e fredda di siciliana altiera, scambiò due o tre saluti con Tecla, con Giulia Capece e con Chiarina Althan e si mise al suo posto, con una misurata armonia di movimenti, strofinandosi la mano destra, dove una piccola macchia rossa era comparsa, respingendo indietro i polsini di