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68 | per monaca |
— O caro, caro il mio fidanzato, — gridò da lontano Eva, vedendo arrivare Tecla, — sei puntuale come un giovanotto a un ritrovo! Sei ancora uscita a cavallo, stamane? Come va Gipsy?
— Benissimo, non si era che sferrata, ieri l’altro; — rispose Tecla con la sua voce un po’ dura, cavandosi i guanti lunghi di camoscio, arrotolandoli e buttandoli in fondo al suo cappellino di feltro.
— E Carlo, come va? — domandò sottovoce, con una inflessione affettuosa, Eva.
— Malissimo, naturalmente; egli è ancora partito per Parigi, per seguirla, ierisera. —
E si affibbiava uno strano braccialetto di ferro.
— Ma perchè ti ostini, Tecla? Carlo ti vuol bene ma ella è più forte di te, amore mio.
— Chissà!
— Non vedi che vince sempre? È bella, è bionda, sa piangere, è piena di seduzione, ama Carlo da disperata....
— Anche io amo Carlo.
— Sì, ma le donne maritate sono più forti di noialtre ragazze; — soggiunse JEva, con una filosofia inconscia.
— Sarà, ma io non cedo.
— E che puoi fare?
— Aspettare. —
E nella breve fronte pallida, negli occhi grigi, di metallo lucido e freddo, nelle sottili labbra di rosetta smorta, nel mento un po’ quadrato, si leggeva la pazienza e la forza, la volontà indomabile che si raccoglie nell’aspettazione. Subito, senza dire altro, Tecla