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I.

Cantarellando una canzoncina popolare, Eva Muscettola girava intorno al bruno tavolone oblungo, su cui erano posati tanti cestini da lavoro, piccoli e grandi, frugava con le dita irrequiete dentro questi cestini, cavandone dei lembi di tela o di mussola già cucita o semplicemente impuntita, aguzzando gli occhi vividissimi, ma miopi, per vedere se nulla vi mancasse, i rocchetti del filo, l’agoraio, le forbici, facendo una quantità di smorfiette carine, secondo che il contenuto del cestino le sembrasse ordinato o disordinato. Un bocciuolo di rosa era passato nella cintura del suo vestito di seta nera, un bocciuolo rosso rosso, già quasi schiuso, simile alla bellezzina ancora incompleta, ma già prepotente, di Eva. Ella canticchiava, mettendo degli aghi da una cartina, nell’agoraio di argento di Giulia Capece, a cui mancava sempre tutto per cucire, quando Tecla Brancaccio entrò, la prima, col suo fermo passo virile, portando anche quel giorno la sua giacchetta da uomo, il goletto bianco, alto e chiuso, la cravatta maschile e lo spillo a ferro di cavallo.