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60 telegrafi dello stato


In quel giorno, il dodici novembre, aveva cessato di piovere, dalla mattina: ma il cielo era rimasto chiuso e grigio, quasi nero alla linea dell’orizzonte, dietro la collina di San Martino. E nelle nuvole il tuono rumoreggiava sordamente, continuo; un lampeggìo folgorava azzurrino, all’orizzonte. Alle quattro il capoturno, che aveva la faccia stanca e annoiata, si presentò alla porta della Sezione Femminile, chiamò la vice-direttrice e le disse:

— Non comunico più con la Sicilia. —

E si guardarono tutti e due, avendo sul viso l’aria preoccupata di chi subisce un guaio irreparabile. La direttrice ritornò in mezzo alle ausiliarie e comunicò la notizia.

— Non si corrisponde più con la Sicilia. —

Le fanciulle si guardarono fra loro, crollando il capo: a poco a poco, l’ufficio di Napoli pareva s’isolasse da tutti gli altri paesi, con cui era legato. Da quattro giorni non si avevano notizie di Venezia che dava i suoi telegrammi a Roma; Campobasso mandava i suoi telegrammi per posta; di Ancona non si sapeva nulla; con Benevento non si comunicava; ora questo isolamento dalla Sicilia, che era il più importante, sembrava l’abbandono completo, l’isolamento assoluto. In quel giorno, tutte le altre linee andavano male, non per l’umidità, ma per le scariche elettriche dell’aria che colpivano la linea e spezzavano i segni della trasmissione.

— Signorine, non toccate con le dita il metallo del tasto; potreste prendere una scarica, — aveva raccomandato la direttrice.