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telegrafi dello stato 31


— Non è un sacrifizio. —

Era una soavissima creatura, magra, bruttina, gracile e timida, che poco sapeva lavorare e che restava sempre in silenzio, alle peggiori linee, dotata di una pazienza angelica, non lagnandosi mai, non alzando mai la voce, cercando di ecclissarsi quanto più poteva. Ella rendeva alle sue amiche una quantità di piccoli servigi, naturalmente: portava un disegno di tappezzeria per pianelle a una, un figurino di mode all’altra, un romanzo alla terza, un pezzo di musica alla quarta; si sedeva a una linea che andava male, in cambio della compagna nervosa che non ne poteva più; era sempre pronta a cambiar turno per una, a restar due o tre ore di più in servizio, per un’altra, a cedere financo il suo giorno di festa, che le toccava, ogni due mesi, a qualcuna che ne la pregava; ella prestava il suo ombrello e se ne andava sotto la pioggia a casa sua; prestava il suo scialle e tremava di freddo, andandosene. Tutto questo senza pompa, con una dolcezza silenziosa, con una naturalezza affettuosa tale, che le compagne finivano per non esserle più riconoscenti. Sapevano che bastava dire, per ottenere da lei qualunque di questi sacrifici:

— O Achard, te ne prego, fammi, fammi questo favore.... —

Ella non resisteva, diceva di sì, subito. Talvolta esse diventavano brutali con lei, che era molto educata. Infatti, Serafina Casale, il giorno prima le aveva detto; — Achard, te ne prego, lasciami venire di mattina, domani. È Natale, abbiamo gran pranzo in casa e dopo si va a teatro. Tu certamente non vai in nessun posto