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telegrafi dello stato 29


immobile sul tasto: le sue amiche, le sue colleghe vedevano che ella parlava con Foggia, per averlo fatto altre volte anch’esse, altrove; ma chi avrebbe osato tradirla? Laggiù, anche Olimpia Faraone parlava con Reggio, come al solito: ma più imprudente, più inesperta, lasciava correre la carta, strappandola pezzo a pezzo e mettendosela in saccoccia: da venti giorni, ogni giorno parlava con quel corrispondente calabrese, che le aveva già scritto due lettere d’amore. I giorni di festa erano fatti apposta per la corrispondenza proibita: gli impiegati si seccavano nei loro uffici solitari, senza lavoro, e veniva loro voglia di chiacchierare; le ragazze si seccavano egualmente, e quel parlare con un ignoto, a tanta distanza, lusingava la loro fantasia. Questo accadeva chetamente; ma sul volto della peccatrice si leggeva la compiacenza dell’ingannuccio che commetteva.

— Pescara; — chiamò la direttrice.

— Direttrice? — trabalzò colei, spaventata, appoggiando la mano al tasto fortemente, per far tacere il corrispondente.

— Che, dormite?

— No, direttrice.

— Domandate a Foggia, se ha niente. —

Annina Pescara sorrise nell’ombra. Dopo un minuto, monotonamente:

— Direttrice, niente con Foggia. —

Ma Caterina Borrelli, che aveva sempre la malizia in risveglio, disse a Olimpia Faraone:

— Faraone, domanda anche tu a Reggio, se ha niente. —