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geva i biglietti da visita giunti per le congratulazioni, incretinita, senza idee, senza sogni. Emma Demartino, la migliore amica, la coetanea di Rosina, la seguiva dappertutto dove ella andava, come trasognata, e quando Rosina, con la sua voce armonica e raddolcita diceva: «Vincenzino? dove sta Vincenzino?» Emma provava una emozione, come uno struggimento di tenerezza.

A un tratto, un grande chiarore attirò ai balconi tutti e tutte: ma era un falso allarme, al Circolo militare accendevano dei fuochi di bengala, Giorgio Lamarra ne teneva due a braccia tese, ed era illuminato fantasticamente di rosso. Clementina Ricco, dal suo balcone, agitava il fazzoletto, come per farsi vento; Paolina Gasbarra la briosa loschetta, gridava bravo, bravo, senza potersi più contenere — e Grazia Orlando era tutta commossa, a vedere il suo bell’ufficiale in tutta quella luce rossa, come Fausto o Mefistofele. A quel chiarore si vide bene che sui balconi del Municipio si portavano in giro le granite, le ragazze di Roccatagliata andavano e venivano, offrendole agli invitati: mentre, attirate dalla luce, credendo che il fuoco artificiale cominciasse, si erano financo schiuse le finestre di casa Crocco. Le due Crocco, brune, scarne, tutte chincaglierie, tutte spilloni di acciaio e fibbie di pastiglia, si affacciarono, mostrando il loro volto arrabbiato di zitellone, ostinate nel desiderio del marito: le due Caputo, amiche fedeli, si affacciarono anch’esse, pettinate e vestite alla moda, di quindici anni prima, ma tutte tranquille e ridenti, sopportando pazientemente i quarant’anni della loro disponibilità, e infine