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226 scuola normale femminile


prima per la seconda, doppio prodotto della seconda per la prima, cubo della seconda parte.

E da quel cumulo di ossa sconquassate, da quella testa i cui occhi poco vedevano più, da quella mano disfatta, contraffatta, da quel cervello tanto lucido che nulla poteva vincere, uscì, per un’ora, una dimostrazione precisa, insistente, continua, sempre più complicante le formole e le sottoformole del teorema. La lavagna era piena zeppa di cifre, di disegni aritmetici, di radicali, di lettere: sulla fine, egli dovette restringere la scrittura, non vi entrava più. La malattia non gli cavava un lamento, non gli infliggeva una sospensione: egli andava, andava come un vecchio meccanismo, la cui ruota fondamentale è ancora solida. Egli si fermò quando suonarono le tre all’orologio e la campana suonò la chiusura della scuola: si fermò e uscì. Esse.... non uscivano. Guardavano la lavagna, inebetite, accasciate.

III.

Fingevano, chi la tranquillità, chi la disinvoltura, chi una indifferenza assoluta: tutte fingevano, come meglio sapevano e potevano, per nascondere la paura, l’inquietudine, la tristezza, la nervosità. Riunite in due o tre gruppi, sedute a caso sui banchi in disordine, nella sala del Terzo Corso, esse fingevano di ammirarsi scambievolmente, una pel vestito nuovo, tagliato e