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220 | scuola normale femminile |
latiello vantava la parrocchia dei Sette Dolori, Valente preferiva Santa Maria della Rotonda, Annina Casale teneva assai alla sua parrocchia della Madonna dell’Aiuto: Isabella Diaz, la creatura orrenda, leggeva, camminando tutta sola, appena vedendoci in quell’oscurità, un opuscolo religioso, intitolato: Fra cento anni, dove saremo?
Le zelanti, la Vetromile, Cleofe Santaniello, Giuseppina Nobilone, De Sanctis, ripassavano passeggiando, la lezione di aritmetica, gli ultimi teoremi della radice quadrata; il professore De Vincentiis doveva venire dall’una e mezza alle tre, l’ultima lezione. Le spregiudicate, in sei o sette, avendo fame, avevano riunite le loro forze finanziarie, raccogliendo quindici soldi e con molte preghiere avevano convinta Rosa, la bidella, a comprare loro otto soldi di pane, sei di provola affumicata, una specie di formaggio fresco, tenendosi un soldo pel suo incomodo. Poi, aspettando, Carolina Mazza, malinconica e cinica, cominciò a narrare loro una storiella piccante, che le faceva sganasciar dalle risa. E tutte quante, convittrici ed esterne, le sentimentali, le zelanti, le sante, le spregiudicate, respiravano un poco; dopo la ricreazione, avevano un’ora di lavori donneschi: la maestra era docile, compativa quelle del terzo corso, sapeva il carico delle loro lezioni, era di manica larga, le lasciava scrivere o leggere o disegnare, purchè poi all’esame presentassero un cucito, un rammendo, un rappezzo bene eseguito.
Tutte facevano dei progetti per quest’ora, che era quasi di libertà: Caterina Borrelli voleva rispondere una lunga lettera, alla sua amica Amella Bozzo;