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218 scuola normale femminile


moltiplicasse nel suo meccanismo di rotelline: essa pareva acquistasse un’anima, un’anima metallica e beffarda, che si rideva dei tormenti di quelle fanciulle: esse la guardavano come un mostro, spaventate. A un certo punto, il direttore si fermò: vi fu un minuto profondo, lunghissimo, di silenzio. Poi, egli che non le sgridava mai, che non pronunciava una parola di biasimo, disse lentamente:

— Sono assai dolente di quello che accade. —

L’effetto fu grandissimo; molte impallidirono; a Judicone che era tanto buona, scesero i lagrimoni per le guancie; Cleofe Santaniello scoppiò a singhiozzare. L’onore della terza classe era umillato. Mentre il direttore si alzava quasi per andarsene, Checchina Vetromile, che era una delle migliori, si alzò, un po’ rossa, con la voce un po’ tremante:

— Sentite, signor direttore, la colpa non è nostra, nè di nessun altro. La lezione è difficoltosa, complicata: la studiamo da una settimana, senza arrivare a penetrarla. Abbiamo trascurato tutto il resto, per questa tremenda macchina: forse abbiamo fatto peggio, perchè ci siamo istupidite, a furia di ripetere venti volte la stessa cosa. Se volete, lasciamo per un poco la macchina e andiamo innanzi: la riprenderemo fra una settimana. Vi promettiamo d’impararla magnificamente: posso parlare per tutta la classe. —

Ma la impressione benefica e pacificatrice di queste parole, che la bella e cara creatura aveva pronunciate, fu dissipata da una vocetta stridula, che esclamò:

— Parli per sè, Vetromile. Io so la lezione: se il professore vuole, la posso dire. —