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scuola normale femminile 217


mente alla parola incudinetta anteriore, udì una voce lieve, quella di sua sorella Lidia, sussurrarle in fretta posteriore, posteriore: Cleofe si arrestò, tremò, perdette il filo, non potette più ricominciare, il suo male nervoso che le impediva di far bella figura in classe, mentre ella intendeva tutto e sapeva tutto, la riprese. Il professore la guardò un momento, così piccola e così meschina come era, e forse per pietà non la sgridò, ma la licenziò con gli occhi.

Costanza Scalerà, chiamata, si levò, con la sua aria composta di grande signora e dichiarò francamente che poteva dire tutta la teoria della legge, ma che non poteva fare la descrizione della macchina di Atwood: il direttore-professore si strinse nelle spalle. La bufera, silenziosa, cresceva: una immensa mortificazione scendeva su quelle fanciulle, esse provavano una vergogna immensa della loro stupidaggine, della loro inettezza. In fondo esse amavano molto quel direttore niente espansivo, ma giusto, parco di parole laudative, ma incapace di usar loro un cattivo trattamento; e avevano una grande soggezione di lui e avrebbero voluto contentarlo in tutto; le sue lezioni erano quelle che studiavano di più. Quale scorno, per la terza classe, alla quarta lezione non saperne ancora nulla, della legge sulla caduta dei gravi! E come passava il tempo, la vergogna e la confusione si dilatavano, crescevano: due o tre altre, salendo su quella cattedra, piazzandosi sotto quella piccola forca di metallo, perdettero la testa per un terrore ignoto, come ci si ammala per paura della malattia. La macchina di Atwood pareva s’ingrandisse, si elevasse sul loro capo, pareva che si