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214 scuola normale femminile


Maria Valente, si mostravano severe e scandolezzate; queste ragazze o molto infelici o troppo intelligenti, o molto povere, erano prese da una dolce follìa religiosa mal repressa. Ogni mattina si riunivano nella chiesa di Santa Chiara, prima di entrare in classe, e pregavano per un’ora; scrivevano su tutti i compiti le iniziali G. M., i nomi di Gesù e di Maria; si scambiavano rosari, amuleti, immagini di santi colorate; ogni domenica, per la messa e pel vespro si davano convegno, ora in una chiesa, ora in un’altra; seguivano tutti i tridui, tutte le novene, tutti gli ottavari, nelle loro ore di libertà; scrivevano delle frasi religiose a margine del trattato di geografia e delle orazioni nei quaderni della geometria: si chiamavano sorelle, fra loro. Formavano il gruppo opposto alle spregiudicate e si disprezzavano a vicenda, le sante più taciturne e più indulgenti, le spregiudicate più ciarliere e più insolenti.

— Isabella Diaz, dite la lezione di catechismo. — La bruttissima si levò e parlò dei sacramenti, pian piano, con quella poca voce che aveva, e un lieve tremito le faceva muovere le labbra; le mani giallastre, sempre un po’ umide, erravano sul banco. Del resto quella piccola figura scarna, dal seno piatto nel vestito vecchio, parlava dei sacramenti con tanta vera pietà, con una umiltà d’interpretazione tanto cristiana, che le mistiche si erano rivolte ad ascoltarla, tutte intente. Il pretonzolo scuoteva il capo da destra a sinistra, come ad esprimere la soddisfazione scimmiottesca: e Isabella Diaz continuava a dire il velo di mistero, in cui si avvolgevano i sacramenti e il senso che essi esprimevano. Ma al settimo, il matrimonio, le