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206 scuola normale femminile


alta il Pater noster: Lidia Santaniello aveva congiunto le mani sul petto malato e la Borrelli aveva abbassate le lenti, per rispetto. La preghiera era finita e la Diaz restava ancora in piedi, le mani congiunte, la bocca schiusa, come se pregasse sempre. Il prete salì sulla cattedra: era piccolotto e grasso, con una faccia rotonda e liscia di antico romano gaudente, con un par di occhi bianchi ferocissimi, che non fissavano nessuno e facevano terrore. La mano era bianca, pienotta, con le unghie rosee, come quelle di una donna: vestiva di corto, molto accurato. Si fermò un poco a rovistare fra le sue carte, a leggere nel registro, sentendo e assaporando lo spavento che incuteva in quei poveri sorci, con cui felinamente si divertiva a giuocare. Poi levò il capo e chiamò:

— Mazza, dite la lezione.

— Non la so.

— E perchè?

— Ero malata ieri. —

Egli, senza dire nulla, segnò uno zero nel registro.

— Casale, dite la lezione. —

La poveretta la disse, era sulle origini del volgare, la sapeva benissimo: ma quegli occhi bianchi l’affascinavano, essa sentiva l’antipatia del professore, s’ingarbugliava.

Egli, senza pietà, la lasciò ingarbugliare, guardando in aria, senza suggerirle nulla, senza domandarle: tanto che ella tremò, arrossì, finì per ricadere sul banco, scoppiando in lagrime. Radente, il prete, si chinò sul registro e segnò zero.

— Borrelli, dite la lezione.