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scuola normale femminile | 201 |
— Non deve venire? Non potrei aspettarlo? — E lo domandava con tanta dolcezza che Rosa se ne commosse.
— Verrà presto, aspettatelo pure. —
E si rimise a scopare rumorosamente. La personcina nera, rincorata, ebbe il coraggio di camminare innanzi nel corridoio e di dare un’occhiata, per la porta aperta, dentro la terza classe. Le ragazze erano tutte fuori dei banchi, convittrici ed esterne, chiacchierando, strillando: invano la decuriona, dall’alto della cattedra, tentava di imporre silenzio. Era una grassona bianca, buonissima, poco intelligente, molto esatta, molto tranquilla, che risultava decuriona, soltanto per i buoni punti che aveva per la condotta: e a quell’incarico ci si dannava, non sapeva andare in collera, non aveva il coraggio di arrabbiarsi con le sue compagne, la sua bella flemma di giovanotta grassa, glielo impediva.
— Ma, signorine, ve ne prego, tacete!
— O decuriona, amica mia! — strillò la Borrelli, rialzandosi le lenti sul naso — che è questo? Tu toscaneggi!
— Lo fa per fare la corte a Radente, il professore d’italiano — soggiunse Artemisia Jaquinangelo, passandosi le mani nei capelli, come un uomo.
— Radente non viene, Radente non viene — esclamò Defeo, la biondinetta, battendo le mani.
— Sono appena le otto, la campana è suonata un quarto prima — disse sottovoce Costanza Scalerà.
E cavò l’orologio. Costanza Scalerà, una convittrice, per questo orologio, l’unico della classe, era consi-