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scuola normale femminile 195


con fiacchezza il canto mattinale, nella sua prima strofa:

Ho nel cielo un divin padre
     Che mi dona e luce e vita
     E al banchetto mi convita
     Dell’Eterna Verità.

Era una musica piana, filata semplicemente, elementare, come la prima sillabazione sull’alfabeto; quelle che cantavano, emettevano la voce senza forza e senza calore, senza capir nulla, come se cantassero in sogno; e pronunciavano le parole, come se fossero in ebraico. Ma le altre cento alunne non cantavano; una grande scena muta di sorrisi, di sguardi, di cenni, di smorfie accadeva da una fila all’altra, fra esterne e convittrici. La severissima ordinanza direttoriale proibiva qualunque rapporto, fra convittrici ed esterne: ma appunto per questo, esterne e convittrici erano unite a coppie, a gruppi, così saldamente che nessun castigo poteva disunirle; appunto per questo si erano stabilite amicizie ferventi, che rasentavano la passione, simpatie invincibili che affrontavano tutte le punizioni, e uno scambio continuo di servizi: lettere impostate, lettere prese alla posta, romanzetti imprestati di nascosto, pezzetti di sapone al fieno, passati di sottomano; appunto per questo in quelle teste giovani, non era che un continuo studio per eludere la sorveglianza dei superiori. Cantare? Ma in quell’ora che stavano tutte riunite, la strana rete di amori e di odii, di simpatie e di antipatie, di impazienze e di nervosità, di affetti tranquilli e di gelosie si manifestava, fittissima, saldis-