Pagina:Serao - Il romanzo della fanciulla, R. Bemporad & figlio, Firenze, 1921.djvu/13


telegrafi di stato 9


ogni mattina, ella era presa da una gran tremarella: e talvolta usciva troppo presto.

— Che ora sarà? — pensava Maria Vitale, contristata dall’idea che fosse prestissimo.

Nel vicolo dei Bianchi, per dove si va a Toledo, incontrò il caffettiere ambulante, che portava in giro il suo fornelletto con le cogome sepolte nella cenere calda e tre o quattro tazzine infilate alle dita.

— Galante, che ora sarà? — domandò ella.

— Sono le cinque e mezza, signorina mia. Lo pigliate un tocchetto?

— Grazie: non ne prendo. —

Un’ora, ci voleva un’ora, ella era uscita un’ora prima. Se ne andava, con le lagrime agli occhi pel dispiacere, pensando a quel buon tempo di sonno che aveva perso: un dolore ingenuo, puerile, le saliva dal cuore alle labbra, come se le avessero fatto, una grande ingiustizia, come quando, piccoletta, la battevano per una colpa non sua. Che avrebbe fatto, in quell’ora? Oh come sarebbe volentieri tornata a casa, a ricacciarsi nel suo lettuccio caldo, con la guancia affondata nel cuscino e le braccia piegate alla vita! Era inutile, oramai: era uscita troppo presto, non avrebbe mai ritrovato quella bella ora di sonno perduta. Dove andare? Il venticello gelido la infastidiva, mandandole in faccia la polvere di via Toledo, non ancora spazzata: non poteva passeggiare a quell’ora, sola, come una pazza, fra i venditori di frutta che scendevano dai giardini alle vie centrali di Napoli, e fra i carri dello spazzamento che trabalzavano cupamente sul selciato. Andar a prender Assunta Capparelli che abitava ai