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116 per monaca


invecchiato di dieci anni, versando le poche lagrime di vecchio sulla poesia della sua casa che s’involava. Giorgio Serracapriola era partito di nuovo, sopra un yacht a vapore, pel Giappone, lasciandosi dietro il ricordo della mite fidanzata, che lo aveva così unicamente amato. Neppure al funerale di Luigi Muscettola, il fratello di Eva, che si era tirato un colpo di rivoltella al cuore, una notte, uscendo da una bisca, la gente era intervenuta: i suicidi non potrebbero essere neppure seppelliti in terra benedetta, s’era dovuto scrivere a Roma, al Papa, per averne il permesso, ma non vi era stata funzione, tutto era stato fatto di notte, alla chetichella. Al matrimonio di Peppino Sannicandro con Maria Gullì-Pausania, solo la nobiltà siciliana era intervenuta; era stato fatto a Palermo, con una pompa immensa, coi valletti vestiti alla medievale e la moschetterìa al ritorno, nella loro villa-castello, fuori città. Tanta riunione di nobiltà si rinnovava, dopo un mese, dopo i magnifici funerali di Eugenia Vargas d’Aragona: la vivace, chiassosa, simpatica creatura era morta di parto, dopo avere dato un erede ai Vargas e agli Aragona, nulla aveva potuto salvarla; giovane, esuberante di vitalità, ricchissima, felice, amante di suo marito, la morte le era parsa una cosa orrenda, nel delirio gridava che non voleva morire, che la salvassero per carità, quelli che l’amavano, ella si buttava al collo di Giulio, stringendolo da soffocarlo; morì disperata. Ora, la stessa gente, più numerosa, forse, per la novità della funzione, era venuta nella chiesa di Santa Chiara. Alle undici in punto la novizia entrò nella chiesa, l’attraversò in tutta la sua lunghezza per re-