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per monaca 111


— Possa tu ottener quanto desideri, Tecla!

— Debbo ottenerlo o morire, — soggiunse l’altra fermamente.

— La prendi una commissione per Pietroburgo? — chiese Giulia Capece alla sposa. — È possibile avere una pelliccia di volpe russa? Io muoio dal desiderio di averla.

— Me ne rammenterò, — mormorò la sposa, guardandosi attorno, con gli occhi trasognati di chi non si raccapezza più.

— Olga mia, la vita sempre serena, il cuore sempre innamorato, — le disse, piano, Chiarina Althan.

— Come è possibile, Clara? — rispose sullo stesso tono, con accento doloroso, la sposina.

— Sii buona, sii buona, non vi pensare, — le soggiunse l’amica, toccandole la fronte, come per benedirla.

Ma sulla porta Massimo Daun, al colmo del malumore, s’impazientiva: l’impiegato annunziava a voce alta la partenza per Roma, tutti si affrettavano, la sposa si avviò anche lei, seguita dal corteo delle sue amiche. Un grande vento s’ingolfava sotto la tettoia, il gas fluttuava. Massimo Daun innanzi a un compartimento riservato, buttava gli scialli e i fiori sui divani, con mal garbo. Un senso di pena dominava ormai tutta la gente venuta a salutare Olga: quella piccola bionda, affettuosa e buona, bel fiore cresciuto al sole napoletano, che se ne andava pel mondo, che s’imbarcava nel mare della vita, con tanto pericolo di naufragio, commoveva tutti quanti. Finanche Anna Doria, la vecchia zitella rabbiosa, s’inteneriva guardando