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per monaca 109


poli, per le loro nozze, essi si potevano chiudere nella immensa e fiorita villa d’Aragona, alla Riviera di Chiaia, non vi era bisogno di lasciar Napoli, ella adorava Napoli, ella odiava tutti gli altri paesi del mondo.

Ci fu un grande movimento; Massimo e Olga erano entrati, tenendosi a braccetto, tutti li circondarono, vi fu quasi un’acclamazione di saluti. Ella era sempre più carina, nel suo vestito di lana azzurro cupo rialzato sopra una gonna di casimiro rosso, tenuta ferma da una rondinella nascosta fra le pieghe della tunica: una rondinella pareva spiccasse il volo dal cappellino di felpa azzurro cupo: ella era pallidissima: Massimo aveva la sua solita aria di uomo seccato e seccante. Come Olga vide tutti quelli che l’aspettavano per salutarla e le mani amiche che le si tendevano e i bei fiori che le offrivano, fra tanti affetti, tante simpatie, tanti ricordi, un tremore nervoso l’assalse, non poteva piangere, ma gli occhi le pungevano, la gola era soffocata dai singhiozzi. E man mano, ella si appartò con tutte quelle che erano state sue amiche, avendo con ognuna di loro una tenerezza, una promessa, un rimpianto, una speranza da scambiare: Massimo discorreva straccamente coi suoi amici, tenendo le mani in tasca, il cappello abbassato sugli occhi, il contegno dell’essere perfettamente annoiato.

— Ti abbiamo portato le rose, Olga — disse la prima sorella Sannicandro, guardando la sposetta, con certi occhioni pieni di lagrime.

— Sono un ricordo di Napoli, non ti scordare, Olga, — aggiunse l’altra.

Ella si chinò sulle rose, le odorò lungamente, le