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per monaca 99


impresse sulla fisonomia l’ansietà, l’agitazione di chi aspetta, sperando e temendo: invece vi si leggeva una stanchezza rassegnata, una pazienza dolorosa e muta, un rilassamento di tutte le linee, l’accasciamento di chi aspetta, senza sperare e senza temere; e la rossa figura passionata e voluttuosa di Elfrida Kapnist, nello splendore un po’ livido della luce elettrica, acquistava una seduzione quasi diabolica, mentre la dolcissima faccia della fanciulla slava, si illuminava morbidamente, in un chiarore di malinconìa, dove i biondi capelli e i fiori azzurri che vi erano sparsi e i grandi occhi aspettanti mestamente, la facevano rassomigliare a una smorta Ophelia, guardante il Baltico gelato, sotto la luna, sospirante un pazzo principe Amleto. Di nuovo la luce fu proiettata su coloro che ballavano: Tecla Brancaccio aveva trascinato Carlo Mottola nella quadriglia; essi ballavano senza parlarsi, ma stretti l’uno all’altro, la ragazza dominante quasi il giovanotto, mentre donna Maria di Miradois, paziente, calma, come colei che attende il suo momento, non ballava, li guardava, con uno strano sorriso sulle labbra. Anche Tecla sorrideva: alla luce si vedevano i dentini minuti e bianchissimi scintillare, come quelli di una gattina feroce: mentre la bellissima bocca di donna Maria sorrideva profondamente, intimamente, come colei che sa e che può, solamente amando. Infine la luce elettrica si posò, per un pezzo, sul castello di poppa: ivi Eugenia d’Aragona, trascinandosi dietro due o tre suonatori, aveva formata una orchestrina e andava in giro, per combinare una tarantella, la vera tarantella napoletana, e la sua febbre si era