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96 per monaca


sistere a quella temperatura calda, sotto quelle vòlte basse: talchè era un accalcarsi alle scalette, uno sparire consecutivo di uomini e di donne, come inghiottite dalla stiva, un comparire di teste dall’altra parte, un grido di meraviglia, una strillìo femminile di timore, mezzo vero, mezzo simulato. Eva Muscettola era ricomparsa al braccio di Innico Althan, il quale le aveva mostrato la sua cameretta, con la finestrella dove una rosa fioriva: e la rosa era sul petto di Eva, che pensava; Eugenia d’Aragona, presa da un furioso capriccio, supplicava Giulio Vargas che le regalasse una corazzata, la voleva per forza, se ne voleva andare per mare, non voleva più stare nelle case di pietra: lui, gliela prometteva, una nave, per quando si sarebbero sposati. E finalmente Tecla Brancaccio e Chiarina Althan trovarono Carlo Mottola e donna Maria Miradois, nella cameretta del cannone di prora: ivi l’ammiraglio, con la sua larga faccia, rasa sulla bocca e sul mento, con le fedine brizzolate, appoggiando una mano sulla enorme culatta nera, spiegava il meccanismo del colpo a quattro o cinque signore, che ascoltavano profondamente sorprese. I due amanti; donna Maria di Miradois, una spagnuola bionda, ardente, languida e passionata, vestita di seta bianca, tutta coperta di gioie, dal cappellino alle scarpette e Carlo Mottola, un giovanotto snello e bruno, dalla pura bellezza italica, mescolata a una intonazione di colore e di linee orientali, si tenevano per mano, sentendo la spiegazione del cannone. E senza turbarsi, Tecla Brancaccio si appressò a loro, sorrise a donna Maria, diede la mano a Carlo Mottola, dicendogli: