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Mario Felice 89


chiara sul nero vestito, sul cappellino nero, sulla giacchetta nera di Maria: un ombrello tutto bianco di merletti e di seta, con un grosso fiocco di nastro giallo e un alto scintillante manico d’argento: sulla candida cupola, nei viali delle quercie e dei platani, il sole faceva piovere i suoi sottilissimi raggi biondi, simili a verginali e luminosi capelli, e la bianca cupola si faceva bionda e sul pallido volto di quella inquieta passeggiatrice un confortante riflesso primaverile scendeva, carezzando i pensosi occhi lionati e la molle linea delle fresche labbra. Maria si avanzava camminando piano e silenziosamente, guardando innanzi a sè, così avidamente che le palpebre talvolta si abbassavano per vincere quella fissità ardente di sguardo:

— Se guardo troppo, egli non verrà; meglio non guardare, mi sarà innanzi improvvisamente, — ella pensava con la fatale superstizione amorosa che accompagna ogni moto della passione.

Eppure Mario Felice non tardava mai molto: un quarto d’ora, venti minuti, non più. D’altronde egli entrava dalla porta