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Angelica | 271 |
E quanto ho pianto, su quella terrazza dove giungevano tutti i profumi dei voluttuosi fiori dell’estate. Lo aspettavo ogni sera, tendendo l’orecchio a ogni rumor di carrozza che arrivasse da Napoli: e arrivava un indifferente, una qualunque delle tante inutili conoscenze che ci contristano minutamente la vita. Egli non giungeva e io continuava a chiacchierare, e ridere, sfogando in parole e in sorrisi la mia agitazione: tutti andavano via: la notte era avanzata, egli non sarebbe più venuto e io diventava pallida come un lenzuolo funebre, mi colpiva il freddo dalla desolazione. Signora, egli era presso voi, in quelle sere, perchè voi me lo avevate preso, quando ancora egli non mi aveva detto di amarmi: e ora non me lo dirà mai più, non udrò mai la sua voce pronunziare le più vibranti parole dell’amore, le due parole, ti amo, oltre le quali nessun’altra parola esiste! Egli giungeva, talvolta molto tardi, e subito ogni mia pena si dileguava: ma voi mi mandavate, signora, un uomo assorto, chiuso nel suo segreto che non aveva più occhi