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268 | L'ultima lettera |
siamo nati nello stesso paese e nello stesso anno, amiamo le stesse cose, abbiamo insieme desiderato un ideale di esistenza più buono, più semplice e più intimo. Mi avrebbe amata! Io conosceva tutto il morboso vagabondaggio del suo spinto irrequieto e dolente; io conosceva tutte le miserie di una volontà ribelle, di un ingegno potente e incompleto, di un cuore che fluttuava fra il cinismo e l’entusiasmo; e dove il mondo lo misconosceva e lo biasimava, io aveva pietà per questa nobile tempra di uomo, in lotta con le idee e con le cose.
Egli mi conosceva: egli aveva pietà di me! Francesco Sangiorgio sapeva che sotto la vivacità insolente dei miei discorsi e del mio sorriso, si celava la piaga insanabile di una esistenza sbagliata; egli sapeva che la seducente dama che appariva a tutti i teatri, a tutte le feste, sempre lieta, col diadema fulgente sui neri capelli, tornando a casa, soffocava i suoi singulti nell’origliere, piangendo sopra la vita frivola e sciocca che faceva; egli sa-