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Cariclea 253


gli occhi spalancati e fissi, prestando tutte le cure più affettuose e più umili, lentamente ma carezzevolmente, meglio di una donna, senza parlare. Non si scuoteva, non trasaliva, avendo costretto all’indifferenza il proprio viso; solo quando la tosse si faceva sentire, egli impallidiva lievemente e voltava la testa in là. Mentre la madre giaceva in quei torpori che lo spaventavano, peggiori della veglia, egli pensava. Che madre era stata quella per lui! Per lui quella era la madre delle madri, era stata l’amor materno come idea fissa, l’amor materno come follia. Dalla nascita fino a quelle ultime giornate, così monotonamente disperate, non si erano lasciati mai un minuto, madre e figlio. Aveva dormito fino a dieci anni nel letto della madre, con la testa appoggiata sul petto di lei; dopo, nella stessa stanza; dopo, nella stanza accanto, con la porta aperta, parlandosi. Ella lo aveva salvato da tutte le terribili malattie d’infanzia, pregandogli la vita con la voce, comunicandogli la vita con lo sguardo magnetico, soffiandogli la vita col respiro;